Intervento della Dr.ssa Rossella Campigotto al Convegno Nazionale della Società Scientifica di Psicoterapia Strategica (2019, Roma)
Scopo di questo lavoro è presentare casi clinici risolti attraverso l’applicazione di alcune variazioni al protocollo di trattamento classico nei casi di paura di farsela addosso della Psicoterapia Breve Strategica. Chi soffre della paura di farsela addosso vive costantemente col pensiero e la paura di avere un improvviso mal di pancia o farsi la pipì addosso. Spesso i medici emettono diagnosi di colite nervosa e prescrivono farmaci antidiarroici ed antispastici. Nel momento in cui, però, tali farmaci non abbiano gli effetti e i risultati sperati, il trattamento si dirige sulla prescrizione di psicofarmaci poiché si riconosce un’origine psicogena al problema. Anche in questi casi i risultati sono scarsi poiché il farmaco non agisce sulla percezione distorta dell’individuo caratterizzata dalla paura di perdere il controllo. La paura di perdere il controllo spinge la persona a mettere in atto la tentata soluzione disfunzionale di cercare di controllare i propri sintomi, ascoltando costantemente il proprio intestino o la vescica. Il tentativo di controllare volontariamente ciò che deve funzionare in modo spontaneo e naturale (intestino e apparato urinario), determina una vera e propria perdita di controllo sulle reazioni fisiologiche. Il paziente tende, inoltre, ad evitare situazioni potenzialmente a rischio di perdita di controllo. Per esempio evita di mangiare alcuni tipi di cibi (verdure, latticini,…) o mangia poco, evita alcuni tipi di bevande (quelle fredde o per esempio gli alcolici), evita posti non dotati di toilette o situazioni pubbliche dove potrebbe notarsi il suo problema (per esempio evita i mezzi pubblici). Il pensiero fisso di farsela addosso porta il soggetto a creare vere e proprie mappe mentali dei bagni che potrebbe utilizzare in caso di evenienza. Il problema diventa estremamente invalidante e incide pesantemente sulla qualità di vita della persona che non è più in grado di
fare ciò che le piace (per esempio godersi una cena con gli amici) o ciò che vorrebbe e dovrebbe fare (presenziare a riunioni di lavoro per esempio). Altra tentata soluzione disfunzionale è il parlare frequentemente del problema con gli altri. La paura di farsela addosso può in alcuni casi seguire o in altri casi non essere dovuta ad una reale esperienza di perdita di controllo. Verranno descritti due casi clinici risolti e le specifiche tentate soluzioni disfunzionali. In un caso il trattamento è stato effettuato tramite skype.
Le variazioni apportate al protocollo classico di intervento hanno contribuito ad aumentare il benessere dei pazienti, secondo quanto affermato dai pazienti stessi, e possono essere utili nei casi in cui i pazienti non abbiano sempre la possibilità di adottare il compito del diario di bordo. Le variazioni apportate inoltre potrebbero essere utili a chi non ha esperienza nell’applicare l’approccio terapeutico breve strategico. Per Psicoterapia breve strategica intendiamo un intervento rapido che consente al paziente di raggiungere la risoluzione della problematica presentata in poche sedute di trattamento e di sentire i risultati già entro le prime 3-4 sedute grazie ad uno sblocco del problema. Il terapeuta breve strategico non si occupa di analizzare le cause che hanno condotto il paziente a sviluppare una particolare sintomatologia, ma si occupa di scandagliare il problema presentato nel qui ed ora. Non si chiede “Perché?”, ma si chiede “Come posso risolvere?”. Si parte cioè dal concetto che il passato non è modificabile e che saranno le soluzioni a spiegare perché il problema. Ogni singola terapia è una come una ricerca intervento (Lewin, 1946) con la quale il terapeuta cambia la realtà per conoscerla. Il terapeuta strategico va a studiare il sistema percettivo-reattivo del paziente (Nardone, Watzlawick, 1990). Esso risponde alla domanda: “Come funziona il problema del paziente? Esso cioè racchiude le informazioni sulla descrizione, sulla formazione e sulla persistenza del problema. Il sistema percettivoreattivo ci indica, in altre parole, qual è la relazione fra il paziente e la realtà (cioè se il problema è con se
stesso, con gli altri o con il mondo), qual è la sensazione primaria tra paura, rabbia, piacere, dolore (Milanese, Mordazzi, 2007), qual è la percezione della persona e come reagisce (cioè quali sono le tentate soluzioni disfunzionali che mette in atto per risolvere il problema). Questo costrutto è fondamentale perché ci dice qual è il modello ricorrente e ridondante messo in atto dalla persona che presenta un disturbo. Altro costrutto importante per un terapeuta strategico è quello di “tentate soluzioni” elaborato per la prima volta dall’ M.R.I. (Menthal Research Institute) di Palo Alto (Watzlawick, Weakland, Fish, 1974: Weakland et al., 1974). Queste ultime sono le responsabili del mantenimento e del continuo peggioramento nel tempo del problema. Il terapeuta deve quindi eliminare tali tentate soluzioni disfunzionali e sostituirle con altre che siano funzionali e deve inoltre modificare la percezione della realtà del paziente. Deve cioè cambiare le lenti deformate attraverso cui il paziente guarda la realtà. Tutto ciò avviene aggirando le resistenze al cambiamento del paziente (Nardone, Salvini, 2004). Si utilizza quindi una comunicazione persuasiva ed anche ipnotica. Si alternerà un linguaggio logico/esplicativo ad uno analogico/metaforico. Per quanto riguarda le
tentate soluzioni, il paziente con problematiche di ansia di solito mette in atto le seguenti: chiede aiuto e protezione agli altri, tende a reprimere le sue sensazioni nel tentativo di calmarsi ed evita le situazioni ansiogene. Il protocollo strategico prevede specifiche manovre e prescrizioni. Di seguito riporto due casi da me risolti apportando alcune variazioni al protocollo della psicoterapia breve strategica. Durante la prima seduta in tutti e due i casi riportati è stato rilevato il problema (cosa mi ha riportato in prima seduta il paziente,) e il sistema percettivo-reattivo (la sensazione primaria prevalente, la percezione del paziente e le sue “tentate soluzioni”).
Natale è un manager di 45 anni che vive in Germania. Mi contatta tramite skype dopo aver visto un mio articolo sull’argomento che dice lo rispecchia. Il paziente riferisce che il problema c’è da diversi anni anche se da sempre un po’ lo ha accompagnato: nei momenti difficili anche da bambino “reagiva di pancia”.
Ora dice che il problema è legato ad altro. La sua paura non è un meeting o il parlare in pubblico. La paura è di farsela addosso e compare soprattutto nei momenti di spostamento con la macchina o con il tram, anche se parte già da quando è a casa e pensa di dover utilizzare un mezzo di trasporto. Il problema è indipendente dal lavoro perché capita anche in vacanza o se deve uscire con gli amici. Non si manifesta nel pomeriggio anche se il pensiero arriva un po’ lo stesso dice. In sostanza se deve andare in un posto ha questo problema.
Il 90% delle volte capita solo al mattino. Ha paura di perdere il controllo e quindi si controlla. Controlla anche il traffico con google maps, va in bagno più volte prima di partire, ma il problema non si risolve. Affronta le situazioni con i suoi tempi; alcune le evita proprio. Per esempio va in macchina e non sul tram perché se si deve fermare è meglio o posticipa le riunioni di lavoro. Ne parla con tutti e ha scoperto che non è l’unico a soffrirne. “Più ci penso, più mi creo lo stimolo” dice.
In prima seduta, applicando il dialogo strategico (Nardone, Salvini, 2004), era emerso un sistema percettivo-reattivo caratterizzato dalla paura di perdere il controllo e di potersela fare addosso. Per risolvere il problema il paziente metteva in atto alcune tentate soluzioni, come riportato sopra, che mantenevano e nel tempo facevano progressivamente peggiorare la sua situazione. Al fine di individuare il sistema percettivo-reattivo sono state utilizzate le seguenti domande: “Quando arriva un attacco di ansia hai più paura di morire di paura o hai più paura di perdere il controllo, impazzire e doverti vergognare davanti agli altri?”; “Il problema si manifesta in situazioni prevedibili o imprevedibili?”; “Parli di questo problema o tieni tutto per te?”; “Quando stai male chiedi aiuto o fai da sola?”; “Tendi ad evitare le situazioni che ti causano ansia o le affronti?”; “Utilizzi farmaci?”; “Quando ti arriva l’attacco tenti di calmarti e più lo fai e più arriva l’attacco?”. Definito il problema, è stato dato il contratto terapeutico: “Ho capito il problema, mi do 10 sedute di tempo per risolverlo. Fra una seduta e l’altra passano 15 giorni nei quali ti darò dei compiti da svolgere che devono essere svolti alla lettera. Sono dei compiti anche un po’ particolari. Se arrivati alla decima seduta sei migliorato ed è necessario aggiungere qualche seduta in più, la aggiungiamo. Se alla decima seduta non ci sono risultati, sono io che ti dico non sono in grado, lascio il caso”.
Alla fine della prima seduta sono stati prescritti alcuni compiti. Con la congiura del silenzio ho chiesto al paziente di non parlare del suo problema con gli altri, ma di parlarne solo con me perché più ne parla e più è come mettere un fertilizzante speciale sulla pianta e questa cresce, cresce, cresce fino a soffocare (Nardone, 1993). Con la ristrutturazione della paura dell’aiuto chiedo di pensare e solo pensare, se dovesse fare una richiesta di aiuto, che riceve due messaggi: da una parte “ti voglio bene e ti voglio aiutare”, ma dall’altra il messaggio è: “Hai un problema”. Chiedo a Natale, inoltre, se proprio deve evitare, di evitare di evitare.
Prescrivo anche di compilare un diario di bordo in questo modo: “Appena senti i sintomi arrivare, tiri fuori il diario e come un bravo navigante lo compili in ogni sua parte così mi dai la fotografia di quello che ti capita durante gli attacchi” (Nardone, 1993). Infine ho prescritto il compito del come peggiorare cioè tutte le mattine deve chiedersi, non come potrebbe migliorare la sua situazione, che è quello che ha fatto fino ad ora senza grandi risultati, ma deve chiedersi come potrebbe volontariamente peggiorare ancora di più la situazione e stare ancora peggio” appuntandosi le risposte senza metterle in pratica (Nardone, Balbi, 2008).
In seconda seduta Natale dice di essere migliorato. Con il diario di bordo riusciva a spostare l’attenzione dal controllo su se stesso. Riusciva così a gestire meglio l’ansia che si era ridotta in frequenza ed intensità. E’stata quindi prescritta la tecnica della peggior fantasia: “Ogni giorno ti metti in una stanza da solo, carichi la sveglia affinché suoni mezz’ora più tardi, abbassi la luce e ti cali nelle peggiori fantasie.
Qualsiasi cosa ti tenga da fare la puoi fare: piangere, gridare, tirarti i capelli, rotolarti per terra. Quando la sveglia suona, stop è tutto finito. Ti lavi il viso e riprendi la tua giornata” (Dizionario di psicologia dell’American Psychology Association del 2007). In terza seduta, avendo rilevato ulteriori miglioramenti, ho prescritto:”5 minuti di peggiori fantasie per 5 volte al giorno ogni 3 ore senza isolarsi”. Ho prescritto al paziente una variazione al protocollo cioè gli ho chiesto di fare in aggiunta ai 5 minuti per 5volte al giorno ogni tre ore anche 5 minuti al bisogno se avesse avuto ancora attacchi di ansia. Alla quarta seduta ad un ulteriore miglioramento sono stati prescritti i “5 minuti di peggiori fantasie al bisogno e anticipatori prima di andare in situazioni ansiogene”. Ho proceduto consolidando i risultati con la tecnica del comportarsi come se (Watzlawick, 1997) il problema non ci fosse e non ci fosse mai stato. Il trattamento si è concluso con la risoluzione del problema dopo 7 sedute, distanziate di 15 giorni.
Oltre ai 5 minuti di peggiori fantasie prescritti in aggiunta ai 5 minuti per 5 volte al giorno, un’altra variazione che ho apportato al protocollo è il fatto che è trascorsa una settimana fra la prima e la seconda seduta. Questa modalità di lavoro è particolarmente indicata per chi come terapeuta si affaccia per la prima volta a questo tipo di trattamento. Permette, infatti, nel caso in cui fosse stato sbagliato l’assetto terapeutico, di recuperare immediatamente (nel protocollo classico la seconda seduta viene svolta a distanza di 15 giorni). Riporto un altro caso risolto con queste variazioni. Alessandra ha sui 20 anni, studia all’università. Da qualche mese ha frequenti ed improvvisi episodi
di ansia. Le vengono, riferisce, anche i crampi alla pancia. Si è accorta che l’ansia le arriva soprattutto in situazioni nuove ed ha paura di vergognarsi davanti agli altri. In prima seduta mi riferisce che affronta la paura, ma che alcune situazioni le evita. Dice che arriva prima il pensiero della paura ed in un secondo momento la sensazione della paura. Prende alcuni farmaci (l’Immodium e i fermenti lattici), ma non le sono utili. Ha fatto alcune visite di controllo che non hanno evidenziato problematiche rispetto alla salute fisica. Fa continue cartine mentali dei bagni nei paraggi quando si sposta. Cerca di andare in bagno prima di uscire.
Il sistema percettivo reattivo si presenta caratterizzato dalla paura di perdere il controllo e dalle seguenti tentate soluzioni disfunzionali: evita di uscire con gli amici, ma affronta per lo più; ne parla con la madre e le amiche (ne ha accennato); più cerca di calmarsi e più arriva l’ansia; si controlla e più lo fa e più perde il controllo; chiede aiuto quando è in difficoltà. Siamo di fronte ad un caso in cui è il controllo che fa perdere il controllo. Definito il problema sono passata al dare il contratto terapeutico. A conclusione della prima seduta sono stati prescritti gli stessi compiti descritti nel caso precedente poiché la struttura del sistema percettivoreattivo è la stessa (adattando la comunicazione a seconda del tipo di paziente).
In tutti e due i casi la risoluzione del problema è avvenuta nell’arco di 7 sedute di trattamento, distanziate di 15 giorni (ad eccezione della prima seduta che è stata svolta a distanza di una settimana dalla seconda). Questi risultati appaiono in linea con le recenti ricerche italiane sui protocolli della psicoterapia breve strategica. I risultati confermano che il protocollo può essere applicato anche on line con ottimi risultati. Ciò dipende dal fatto che questa tipologia di pazienti necessita di indicazioni precise e dirette. La psicoterapia breve strategica, per questa categoria di pazienti, non prevede particolari manovre da un punto di vista relazionale. I miglioramenti si sono ottenuti già alla seconda seduta. La variazione dei 5 minuti al bisogno proposta in terza seduta è una strategia che può essere applicata nei casi in cui il paziente sia impossibilitato in alcuni momenti della giornata a svolgere il diario di bordo e con lo scopo di migliorare
ulteriormente il benessere del paziente rispetto al protocollo classico. Consente inoltre di consolidare ulteriormente il nuovo sistema percettivo-reattivo.
BIBLIOGRAFIA
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